Atti di Artena
Lamentarsi dell’Europa, delle sue carenze e, spesso, dell’assurda e talvolta cieca applicazione di regole non comprese dalle opinioni pubbliche, è sempre stato un atteggiamento piuttosto comune negli stati membri. In parte tale atteggiamento è il frutto di oggettive imperfezioni delle regole che l’Europa si dà. è però anche il risultato della facile ricerca di capri espiatori quando spiegare proprie manchevolezze nazionali diventa troppo difficile o oneroso. In tal caso l’Europa viene definita come un corpo estraneo, quasi fosse una sorta di potenza imperiale che mina la sovranità nazionale. Per quanto sia comprensibile che forze populiste, e non solo loro, cedano a questa tentazione in tempi di crisi economica e politica, tale atteggiamento può, specie se protratto nel tempo e se condiviso fra i popoli nel continente, minare le basi stesse della convivenza civile e pacifica della quale noi tutti in Europa abbiamo goduto negli ultimi decenni. Infatti, una volta che viene meno il capro espiatorio centrale di Bruxelles, il passo successivo è quello di scagliarsi ciecamente ed esclusivamente contro singoli stati membri. In una prima fase a parole. E dopo?
Innanzitutto l’Europa siamo noi. l’abbiamo creata, con le sue imperfezioni e le regole che tanto critichiamo quando dobbiamo puntualmente applicarle o farlo diventa meno opportuno dal punto di vista politico.
l’Italia, uno dei paese fondatori di questa imperfetta Europa, vive indubbiamente una fase di crescente euroscetticismo. Forse per la prima volta nella storia repubblicana una buona parte di cittadini non riesce a capire se le istituzioni europee siano prevalentemente fonte di vantaggi o se invece a Bruxelles prevalga ormai un elemento punitivo che toglie ossigeno agli stati membri e ai suoi cittadini, senza peraltro garantire un futuro migliore. Molti nel nostro paese hanno deciso di scagliarsi contro l’unione monetaria, forse sognando, mi si permetta il sarcasmo, un ritorno a un passato fatto di costo del denaro più alto, inflazione più alta, disoccupazione comunque alta e di una lira debole. Alcuni attaccano le istituzioni di Bruxelles, e soprattutto la commissione. Agli occhi degli uni sarebbe colpevole di essere poco elastica nell’interpretare le regole comuni, quando al tempo stesso altri, in altri paesi membri, si lamentano che lo sia fin troppo.
Visto da lontano questo atteggiamento è tanto più sconcertante in quanto le sfide che bussano con potenza alle porte europee sono irrisolvibili se non vengono affrontate dall’Europa tutta con decisione; si pensi all’emergenza potenzialmente dirompente della potenza cinese, all’implosione di gran parte del medio oriente, a una Russia economicamente indebolita e militarmente revanscista, alla crisi economica strutturale che sta minando la nostra ricchezza, i nostri sistemi di welfare e che rischia di mangiarsi via via la classe media, o alla crisi dei rifugiati. Ve ne sono delle altre. Sarebbe inutile ricordarle tutte qui. In comune, tutte queste sfide hanno che non possono essere affrontate rifugiandosi in sogni vagamente autarchici. Nessun paese europeo, ne’ la Germania, ne’ la Gran Bretagna, e tantomeno l’Italia saranno in grado di guidare il proprio destino in totale autonomia. Siamo troppo piccoli, e ancor più lo saremo se scegliamo di illuderci di avere margini di manovra che non abbiamo, in un mondo certamente più caotico e più instabile di quello di 20 anni fa.
Il fallimento del metodo intergovernativo
Paradossalmente, la recente crisi ci dovrebbe aver insegnato che abbiamo bisogno di più Europa, non di meno. Ci dovrebbe aver anche insegnato che il modo migliore di proteggere la sovranità nazionale nel ventunesimo secolo in Europa è di condividerla con gli altri partner. Infatti, le recenti debolezze del progetto europeo sono emerse con particolare dirompenza laddove, come in campo fiscale, la sovranità rimane gelosamente una prerogativa nazionale. Non esistendo un’ unione fiscale, ne’ tantomeno meccanismi di vera condivisione, ed essendo l’applicazione delle regole fiscali comuni fondamentalmente fallita, nella crisi si è passati ad un controllo dettato dal rapporto asimmetrico fra debitori e creditori. Le nuove istituzioni create, come il fondo di stabilizzazione ESM (European stability Mechanism) riflettono i rapporti di forza nazionale all’interno dell’unione e si trovano a tutt’ oggi al di fuori dei trattati europei. Sovvertendo lo spirito del progetto europeo che garantisce una voce anche agli stati membri più deboli o più piccoli, sono stati soprattutto gli stati creditori, cioè i più forti, a dettare ai più deboli, cioè i paesi debitori, le condizioni per il loro salvataggio.
Il trasferimento di sovranità ci è stato, ma ha avuto ed ha un carattere puramente temporaneo e asimmetrico. I forti controllano i deboli fin quando questi ultimi non riescono a ritornare ad essere autosufficienti. Il risultato perverso è davanti agli occhi di tutti: lo stravolgimento del principio guida dell’unione che promuove interdipendenze e integrazione e uno stato di crescente frammentazione, alimentato da sentimenti di crescente frustrazione e impotenza in quasi tutti gli stati membri. Una vera trappola. Anche perchè i creditori hanno comunque dimostrato solidarietà mettendo a disposizione denaro dei propri contribuenti, e irritando cosi` non poco la loro stessa opinione pubblica. Al tempo stesso i paesi debitori hanno dovuto accettare delle condizioni particolarmente onerose per ricevere un aiuto finanziario non risolutivo, il che, come nel caso dei vari salvataggi della Grecia, ha gettato il popolo greco nel vicolo cieco del populismo. Il progetto europeo ne è uscito indubbiamente danneggiato.
Infatti, in assenza di meccanismi istituzionali chiari di co-decisione, è stato il consiglio europeo, nel quale sono ancora le nazioni che contano più delle istituzioni comunitarie, ad assumere il ruolo guida dell’Europa. Se l’Europa negli anni scorsi ha fallito, lo ha fatto soprattutto perchè si è affidata quasi esclusivamente al metodo intergovernativo, e cioè al coordinamento piuttosto che allo spirito e al metodo comunitario.
Sarebbe allora miope sperare di risolvere i propri problemi diventando semplicemente paese che conta di più sullo scacchiere intergovernativo. Non basta. E non basta nemmeno fare i famosi compiti se poi ci si aspetta un automatico riconoscimento dai partner che vada oltre la retorica e qualche minore concessione. Anche gli altri paesi hanno opinioni pubbliche che tendono a premiare soprattutto i propri politici se questi non si fanno mettere con le spalle al muro. Dunque aspettarsi grandi gesti di solidarietà da parte dei partner può essere dolorosamente illusorio. Infine, se non si riescono a formare delle maggioranze alternative in seno al consiglio per portare avanti un progetto comune, che vada oltre l’immediato, fare la voce grossa solo per ottenere piccole concessioni per il proprio paese è comunque inutile. Peggio, controproducente.
Un’ alternativa al vicolo cieco nel quale i paesi membri dell’unione si sono smarriti ci sarebbe. Non è un sogno ma una realtà. Infatti, laddove, anche durante la più recente crisi, la sovranità è stata condivisa, il cammino, seppure tortuoso, è stato molto più incoraggiante.
LA BCE – modello di integrazione
l’unione monetaria fu dotata fin dalla nascita di una banca centrale e una politica monetaria molto simili a quelli della Bundesbank tedesca. l’unico obiettivo della BCE è infatti quello di salvaguardare la stabilità dei prezzi, combattendo con decisione qualsiasi tendenza inflazionistica, e di farlo salvaguardando gelosamente la propria autonomia dalla politica. Negli USA la FED, la banca centrale statunitense, ha invece un doppio mandato, stabilità dei prezzi e lotta alla disoccupazione. Il doppio mandato ha, fin dall ‘ inizio della crisi economico-finanziaria, fornito alla Fed la flessibilità necessaria per intervenire con decisione sui mercati e immettere la liquidità necessaria per arginare e invertire gli effetti più devastanti della crisi. In una prima fase la BCE si è invece mossa in modo molto più conservatore, nel solco della tradizione Bundesbank. Solo con l’arrivo dell’attuale presidente Mario Draghi la banca si è molto avvicinata al modello americano, pur rimanendo rispettosa del proprio mandato. l’evoluzione della BCE l’ha anche vista assumere il ruolo di garante per il funzionamento del sistema bancario europeo. l’evoluzione della politica monetaria della BCE ha comunque scatenato l’ira e l’opposizione del vertice della banca centrale tedesca che pretendeva, erroneamente, di contare di più degli altri membri del consiglio direttivo. La Bundesbank ha tuttora difficoltà ad accettare che dal punto di vista politico-legale non conta di più della banca centrale di Malta.
Per quanto non sia un’organo politico, la BCE rappresenta comunque un’ espressione di sovranità condivisa ed efficace. è anche l’espressione più chiara della capacità delle istituzioni europee di adattarsi a delle circostanze nuove ed evolversi ancor prima che ciò venga codificato nei trattati. In altre parole, non è vero che i cambiamento del funzionamento dell’Unione non siano possibili senza che siano preceduti da una modifica dei trattati. Molto spesso nella storia europea sono i codici che finiscono per seguire le nuove usanze e interpretazioni di regole vigenti, e non viceversa. Anche per questo, qualsiasi tentativo di riformare gli statuti che governano il funzionamento della BCE potrebbe rivelarsi controproducente. Esso potrebbe risvegliare in alcuni paesi il desiderio di introdurre delle regole che rendano possibile un controllo politico nazionale più puntuale del processo decisionale e delle politiche monetarie e di sorveglianza. Siamo veramente sicuri, che l’Italia si ritroverebbe fra i vincitori?
Il ‘quantum leap’, come saltare oltre il fosso nel quale rischiamo di cadere
Il paradosso di questa fase della storia europea è dunque che muoversi con decisione in direzione di un’ unione politico fiscale – sia pure parziale – offrirebbe dei vantaggi all’Italia che vanno ben oltre il momentaneo ed evanescente riconoscimento da parte della commissione o dei partner europei che l’Italia o qualsiasi altro paese colpito dalla crisi abbia compiuto delle importanti riforme strutturali.
Se l’Italia vuole ottenere delle vere vittorie dovrebbe agire non solo nel proprio interesse, bensi` nel nome di molti. Diventare forza integrante restituirebbe vero peso e credibilità. Lo può fare spingendo per ottenere una più rapida realizzazione dell’unione bancaria, in tutti i suoi aspetti. l’unione bancaria è importante non solo perchè il nostro sistema economico dipende da un sistema finanziario basato sulle banche, ma anche perchè essa è l’unica realtà di progetto di integrazione emerso dalla crisi. Ma l’Italia può e deve fare di più.
Sarebbe allora vantaggioso riprendere alcune delle recenti proposte sul futuro dell’unione monetaria, tenere ad esempio conto di ciò che il governo francese e tedesco hanno ventilato in passato e partecipare finalmente ad un vero tavolo delle trattative sul futuro dell’Europa e dell’unione monetaria. Fondamentalmente esistono attualmente due approcci alternativi:
- Ulteriore rafforzamento dei meccanismi di controllo fiscale e delle politiche economiche – fondamentalmente il modello tedesco, molto incentrato su un’ approccio ‘rules based’ di severa applicazione delle regole attraverso un controllo esterno dei paesi membri. Definirei questo approccio fondamentalmente intergovernativo.
- Gettare le basi per un vero governo europeo con una più ampia discrezionalità politica, che abbia anche fin dall’inizio una certa capacità di raccolta tributaria, emetta degli euro bonds e sia soprattutto controllato da un parlamento dell’euro zona.
Visto, che il metodo intergovernativo riproporrebbe, ed accentuerebbe le debolezze di cui sopra, finirebbe insomma per alimentare le forze disgregatrici che stanno già minando l’Europa oggi, sarebbe molto più proficuo definire una proposta puntuale che si ispiri alla seconda variante. Raccogliere questa sfida farebbe dell’Italia, di qualsiasi governo italiano, un vero protagonista in Europa e nel mondo.
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