Il 7 maggio i francesi andranno alle urne per scegliere tra il centrista Emmanuel Macron e la nazionalista Marine Le Pen. Considerando il vantaggio nei sondaggi del primo, le istituzioni politiche e i media tradizionali sono pronti a dichiarare vittoria nella battaglia contro il populismo. Un tale atteggiamento comporta un grosso rischio, quello di pensare di aver sconfitto le critiche al modello della globalizzazione e alle istituzioni dell’Unione europea, e quindi di procedere con gli stessi errori compiuti in passato.
La motivazione che ha portato i candidati francesi anti-establishment a raccogliere oltre il 40% dei voti al primo turno, sono essenzialmente le stesse che stanno alimentando la protesta in tutto il mondo occidentale: l’impressione che la classe politica e finanziaria ha pensato più che altro ai propri interessi, ignorando le crescenti difficoltà per la classe media e bassa. Il terreno fertile per i movimenti di protesta è stato creato da un modello economico che ha privilegiato l’economia finanziaria, portando ricchezza solo alla parte alta della società, mentre ha contribuito all’indebolimento delle attività produttive nel nome del “libero” mercato e del rispetto dei parametri finanziari, che per la popolazione in generale si è tradotto in tornate ripetute di austerità.
In questo contesto, i candidati che fanno appello all’identità nazionale, mischiando anche messaggi più estremi sull’immigrazione e sull’Islam, hanno gioco facile a prendere di mira l’Unione europea e le élite transatlantiche più in generale.
La differenza tra la campagna di Marine Le Pen e quella di Geert Wilders in Olanda, o anche di Donald Trump negli Stati Uniti, è che la candidata francese ha presentato una visione più definita su come cambiare la politica economica del suo paese. Infatti oltre agli aspetti sociali e culturali su cui si concentra la stampa, Le Pen ha fatto delle proposte precise, che meriterebbero un dibattito serio.
Pur avendo criticato la “globalizzazione deregolamentata” e chiesto l’uscita dall’Euro, il Front National non propone di tornare ad un sistema di cambi fluttuanti, cioè in cui il valore delle monete oscilla liberamente in base all’andamento delle compravendite delle valute sui mercati finanziari. Piuttosto si chiede di ripristinare il sistema precedente, con i cambi stabili tra le monete, simile al Sistema monetario europeo (Sme) creato negli anni Settanta. Il FN parla di utilizzare di nuovo l’Ecu (European currency unit), l’unità di conto per regolamentare i pagamenti tra le nazioni, evitando le fluttuazioni che introducono un elemento di forte instabilità.
Non è una proposta che piace a molti economisti oggi, in quanto la moneta comune è ormai diventata un dogma da difendere. Inoltre il sistema dello Sme ha avuto senz’altro le sue debolezze, fino ad essere distrutto dalla speculazione - o meglio dall’incapacità dei governi europei di bloccare la speculazione - nel 1992. Però si tratta di un’idea seria, una possibile strada per un’Europa che vuole ridare sovranità ai governi nazionali, ma senza rinunciare alla collaborazione monetaria tra gli Stati Membri.
La seconda proposta interessante è di eliminare l’indipendenza delle banche centrali, e quindi di tornare ad una banca nazionale per la Francia. Anche qui, si tratta di un’idea importante, caldeggiata da economisti e politici che vedono l’affermazione delle politiche liberiste dagli anni Settanta in avanti come l’antitesi del sistema di ‘economica sociale di mercato’ utilizzato con grande successo in Europa nei primi decenni del dopoguerra.
Anche in questo caso l’idea è tabù tra gran parte degli esperti attuali, ma non è affatto una proposta ridicola; anzi, sarebbe un passo verso il ripristino del ruolo pubblico in economia, permettendo allo Stato di attuare una politica di investimenti mirati e anche di stabilizzare il debito pubblico, un rifiuto netto alla richiesta di austerità e al potere dei mercati finanziari di decidere la sorte di un paese grazie alla speculazione sui propri titoli di stato.
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