Nella ricerca di un concetto che possa unificare la politica estera della nuova Amministrazione Trump, spunta una “vecchia idea” che potrebbe essere coerente con la visione del nuovo Presidente e anche ridare ordine alle relazioni internazionali. La propone Stephen Walt, professore di relazioni internazionali a Harvard University, in un articolo recente su Foreign Policy: il principio di sovranità nazionale del Trattato di Westfalia.
Walt definisce come punto centrale: “l’idea che gli stati sono responsabili per il proprio territorio e cittadini, e che altri stati non dovrebbero interferire con nessuno dei due”. E’ una visione coerente non solo con la mentalità di “America First” identificata con Trump, ma anche con il sentimento nazionalista che sta emergendo in molti paesi europei. “E non è proprio un concetto controverso – scrive Walt – anzi, costituisce ancora buona parte della base del diritto internazionale”.
Il professore di Harvard non sembra un grande fan di Trump, ma la chiave di lettura che offre tocca un punto fondamentale nel mondo di oggi. La globalizzazione degli ultimi decenni ha permesso ad un élite internazionale di acquisire un potere spropositato sulla politica e sull’economia reale. Il processo è passato principalmente attraverso il potenziamento della finanza, ma è stato aiutato da decisioni politiche esplicite con il tentativo di eliminare i confini.
Nel promuovere un sistema di diritti condivisi a livello mondiale, il principio di Westfalia è stato abbandonato in più campi, a partire da quello militare. Il cambiamento di regime e il cosiddetto diritto di proteggere – due facce della stessa politica – affermano la supremazia dei valori democratici definiti dal mondo occidentale sulla sovranità nazionale.
La politica economica è forse ancora più esplicita: il ruolo dello stato deve sparire. Dalle istituzioni internazionali come il FMI, ai grandi trattati commerciali, si fa di tutto per evitare dei confini che limitano lo spostamento del lavoro e dei capitali, proclamando la bontà tautologica dei “libero mercato”, pur quando viene sfruttati per interessi specifici.
Il fallimento dell’élite occidentale è strettamente collegato a questo cambiamento di concezione generale. Una certa visione del mondo, da attuare con strumenti a volte democratici e a volte non, ha facilitato le politiche che hanno fomentato il malcontento di grossi segmenti della popolazione, che a sua volta vedono in questi “valori” della globalizzazione una minaccia non solo al proprio benessere, ma ancora di più alla propria identità.
Oggi l’idea di un ritorno al “nazionalismo” viene considerato pericoloso, per forza negativo in quanto associato alle guerre del passato. A guardare bene però una ripresa del concetto di sovranità nazionale sembra particolarmente importante proprio per contrastare la perpetuazione degli errori più gravi del mondo occidentale negli ultimi decenni: una politica estera basata su interventi militari a volte difficili da giustificare, e una politica economica che ha provocato una serie di crisi che ora si stanno ritorcendo contro la classe che ne ha tratto beneficio, ignorandone i risultati su buona parte della popolazione.
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