di Giulio Bacosi
In una temperie quale quella attuale, nel cui contesto dinamico ci vengono diuturnamente restituite (dalla cronaca, ma non solo…) immagini crude almeno quanto terribilmente realistiche, discorrere di Regole sembrerebbe anacronistico se non - quasi – fuori dal tempo e dallo spazio.
Eppure, mai come in questo momento parlarne si palesa, agli occhi d’un osservatore attento e scevro da pregiudizi, “buono” almeno quanto “giusto”.
Iustus, appunto; e dunque conforme ad uno Ius, ad un Diritto con la D maiuscola che non è semplicemente un compendio da osservare per dovere etero-imposto, quanto piuttosto un coacervo ordinato di Regole che supportano e, anzi, realizzano la convivenza civile conferendole una struttura statica normata ed un incedere dinamico del pari organizzato e, dunque, ex se efficiente.
In breve, Regole per l’organizzazione e per l’efficienza, oltre che per la convivenza.
Conoscerle, rispettarle e farle rispettare è una triade ineludibile; eppure sconfessata quotidianamente da chi si abbandona ad inconcludenti stormir di fronde che nulla sanno e, prima ancora, nulla pensano. Gente - sovente “politici professionali” - che “non sa” più o meno nulla, men che meno di Regole, non ne ha punto vaghezza, anche se finge abilmente di sapere tutto. E chi non sa, difficilmente rispetta quel che dovrebbe sapere; ancora più difficilmente lo fa rispettare, salvo si tratti di precetti la cui violazione tocca direttamente la sua persona. Come dire: conosco le regole (con la “r” minuscola) - e chiedo veementemente che siano applicate - solo quando la relativa violazione vulnera in modo sartoriale e diretto me, il mio entourage o il mio patrimonio personale.
Ma la questione – in disparte i qualunquisti (sempre che si riesca a metterli in un angolo) - è complessa anche per chi di Regole si occupa quotidianamente: sono troppe ed assai spesso mal scritte, favorendo così (ed è stato già osservato su queste Colonne) il diffondersi, sovente neppure troppo larvato, della corruzione in ambito pubblico e in specie burocratico, a tacer d’altro.
Solo poche, buone Regole possono tornare a presidiare efficacemente la società civile: “ubi societas, ibi ius”, ovvero “non esiste società civile organizzata senza Regole”. A tutti i livelli – interno come sovranazionale (Europa), come internazionale (Mondo) - poche buone Regole dovrebbero dirci chi fa cosa, nell’interesse di chi e che cosa accade se chi deve fare cosa “non fa” ovvero “fa altro”.
Se ciò finalmente accadesse certezza, economia, diritti e soprattutto doveri troverebbero nuova foggia e nuovo slancio: quel vigore che manca al Paese almeno quanto vi pullula anemia ed approssimazione.
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