di Serena Miraldi
Fra le colonne portanti dell’identità europea un posto di spicco è riservato al diritto ed alla conoscenza giuridica, assoluto capolavoro nella cultura generale del Vecchio Continente.
Come sappiamo, l’Unione Europea è una costruzione politica complessa, frutto di un processo d’integrazione che dura ormai da più di mezzo secolo e che si è contraddistinto per la sua andatura altalenante, fatta di passi in avanti e improvvise battute d’arresto.
L’Ue ha un proprio diritto che vincola gli stati membri e che si fonda in ultima istanza sempre sulla forza di imporre tale diritto. Questa struttura è una conquista specifica dello stato europeo moderno e si differenzia da ciò che era il diritto in altre culture e in Europa fino alla prima età moderna. Se il diritto era originariamente un unicum con la religione, la morale, il costume, da essi venne poi distinto in un processo di differenziazione, per cadere progressivamente sotto l’influenza della politica. In passato il diritto è stato del tutto o in parte indipendente dal nascente potere statale, che però nel corso del suo sviluppo ha sottomesso a sé diritto e giustizia. Tale constatazione rende chiara la multidimensionalità di ogni formazione giuridica che viene oggi offuscata dal monopolio statale della statuizione del diritto. Il diritto è allo stesso tempo fondato in modo materiale ed ideale, posto dai sovrani e imposto ai sudditi, quindi contemporaneamente un costrutto razionale dei legislatori e l’emanazione dei sentimenti degli uomini (Harold J. Berman). Il suo scopo, infine, era ed è (o dovrebbe essere) la riduzione della complessità (Niklas Luhman).
La fase attuale dell’evoluzione dei sistemi giuridici in Europa rende particolarmente feconde le riflessioni sui modelli che hanno caratterizzato nel tempo la civiltà del diritto nel nostro continente. Come lo stato europeo deriva da un dominio arcaico, così anche il diritto europeo deriva da un diritto arcaico. La sua vici-Serena Miraldi La rivoluzione giuridica europeananza alla vis (vendetta di sangue) si collega al carattere personale e privato della concezione del diritto, in base al quale il mio diritto e il diritto sono coestensivi. Ancora oggi il diritto anglosassone, a differenza di quello continentale, parte con successo da questa
logica premoderna del caso singolo anziché dalla logica dell’universale. A ciò si aggiunsero le concezioni religiose di una necessaria ricostruzione dell’ordine disturbato, che non avevano tanto a che fare con colpe individuali ed espiazioni. Una compensazione rituale di questo tipo continuò a vivere nella compensatio della prima età moderna e nella Chiesa si perpetuò nell’indulgenza, ovvero nella possibilità di sostituire una pena con un pagamento
o con un’altra sanzione. Ma la si ritrova anche nei simboli delle «pene speculari»: nel taglio della mano usata per il giuramento in caso di spergiuro o nella castrazione in caso di delitto sessuale e così via.
In mancanza di un potere statale costrittivo, fino a un certo grado la giustizia dipendeva dalla volontaria disponibilità dei partiti a collaborare (come in parte dovrebbe essere oggi in Europa). Perciò nello sviluppo dei tribunali «statali» per la configurazione del reato una parte importante giocò il mancato rispetto dell’invito a comparire (contumacia). Ma in età antica le parti furono portate davanti al tribunale non solo dalla paura dei loro nemici ma anche
dalla fede nell’ordine universale. Da qui la discussione giuridica condotta con magici mezzi legali come diversi giudizi di Dio (duelli, ordalie, etc.), al posto del moderno procedimento di prova. Nel mondo classico e nell’ebraismo il giuramento era un atto religioso, che fu espressamente vietato ai cristiani (Matteo 5, 33-37). Tuttavia significativamente nel primo Medioevo esso divenne un fondamento religioso della giustizia e del dominio, una sorta
di sacramento (Paolo Prodi). Il crescente dualismo tra Chiesa e mondo lo ha privato di questo carattere, anche se esso restò il fondamento, gravato con una sensazione trascendente, dell’intero ordine politico, sociale e perfino economico. Mentre nella riforma
radicale il divieto biblico di giuramento fu rivitalizzato contro le pretese di dominio spirituale e temporale, il giuramento sulla giusta dottrina nell’epoca della confessionalizzazione incluse per la prima volta il modo di pensare, oltre che l’azione dimostrabile.
Ma il venir meno della fede nella sanzione trascendente per gli spergiuri fece perdere all’Antico Regime, oltre alla legittimazione religiosa della monarchia, un ulteriore fattore di stabilità tramandato dal passato. I giuramenti moderni si fondano solo sul debole
fondamento di un’onorabilità di chi presta giuramento e delle punizioni legali per gli spergiuri. Se il diritto antico presenta una comune struttura formale di base, da un punto di vista materiale è ricco di varianti: è locale, regionale, a ogni modo decentrato (il re itinerante tedesco poteva accettare l’amministrazione del luogo del suo soggiorno, ma secondo il diritto locale e con assistenti locali esperti di diritto; il monarca svedese doveva essere accettato separatamente da ogni parte del suo regno). Il sovrano era custode ma non signore del diritto. E su simili basi la potente corona inglese poté realizzare anche un diritto regio unitario con una giustizia regia unitaria. Ma il diritto romano-canonico grazie alla forma scritta e all’unità rispondeva meglio ai bisogni del nascente potere statale e divenne
ius commune dell’Europa, di cui oggi è base fondamentale. Il tradizionale diritto romano- giustinianeo nei secoli aveva perso il carattere arcaico connaturato all’actio legis, ma gli era
rimasto il principio dello sviluppo del diritto sulla base dei singoli casi (la raccolta del 533/534 consisteva di tre parti:
1) Codex Iustinianis, una raccolta sistematica di leggi imperiali da Adriano in poi;
2) i Digesta, o Pandectae Iustiniani, una raccolta di casi esemplari in 50 libri con scritti di giuristi romani, particolarmente di Ulpiano, Paolo, Papiniano;
3) le Istitutiones, un manuale d’ufficio). Diritto pubblico, diritto penale, diritto procedurale, diritto privato sono trattati in parti separate ma l’accento è posto sull’ultimo. La raccolta in un primo momento non ebbe successo ma venne riscoperta nel XII secolo venne indicato come Corpus Iuris. Le rimanenti parti sopravvissute, il cosiddetto diritto volgare,
si inserirono in parte nella cultura giuridica mista degli imperi germanici la cui base rimaneva romana. In questa ricchezza normativa il Cristianesimo, mediatore
della civiltà greco-romana, divenne, dato il suo rispetto per i valori nazionali, il crogiolo di quell’identità culturale europea, fungendo da legame vivo che univa le diversità nazionali.
Da nessuna parte la tradizione del diritto romano continuò a vivere in modo così ininterrotto come nella Chiesa romana, i cui «Padri della Chiesa» avevano spesso una formazione giuridica. Pertanto lo sviluppo del diritto ecclesiastico svolse anche un ruolo decisivo per la rivoluzione giuridica dei secoli XI e XII, la più importante epoca di cesura della storia europea del diritto, perché con essa iniziò il superamento del diritto antico con la nascita dell’attenzione scientifica per il diritto ed era stato posto un pilastro fondamentale dello stato moderno. Si può vedere «l’origine della tradizione giuridica occidentale nella
rivoluzione papale» (Harold J. Berman), cioè nella pretesa di dominio avanzata da Gregorio VII e nella sua fondazione giuridica. Il «mondo» reagì a queste sfide proposte dalla Chiesa con lo sviluppo di un suo proprio diritto e infine con la formazione del moderno stato secolare. Prima dell’XI secolo non esisteva in Europa alcun diritto inteso come sistema autonomo di regole, ma una molteplicità di abitudini giuridiche che non potevano essere separate da altre forme di controllo sociale come il costume, il pensiero, in particolar
modo la teologia, e per giunta avevano validità locale. Non vi erano giuristi di professione e quasi non vi era riflessione teorica sul diritto. Tuttavia dalla fine dell’XI secolo fino agli inizi del XIII secolo nell’Europa occidentale il carattere intellettuale e politico del diritto si trasformò in modo rivoluzionario cominciò a separarsi dal suo naturale radicamento nel costume e nella credenza, per affermare la sua giustizia con una dimostrazione razionale.
Tre i fattori importanti: il sorgere di poteri centralizzati più ambiziosi nella chiesa e nel mondo; il conseguente costituirsi di uno status di giuristi di professione; l’attività di scuole giuridiche che pensavano il diritto come sistema autonomo. Come risultato si formarono i sistemi giuridici occidentali: il diritto canonico della chiesa, i sistemi giuridici delle monarchie europee allo stesso tempo sotto la sua influenza e in conflitto con quello, il diritto feudale, il diritto del dominio terriero, il diritto di autonomi comuni cittadini ed il diritto commerciale dei loro abitanti addetti ai traffici. Insieme al diritto canonico anche il diritto commerciale era in una certa misura unitario in tutta Europa, ma le varianti dei rimanenti
quattro presentavano un comune modello fondamentale (essendosi formati sotto l’influenza del rinato diritto romano).
Sulla base dell’unico completo manoscritto del Corpus Iuris, ritrovato a Pisa nell’XI secolo, i giuristi dell’università di Bologna (o glossatori) nel XII secolo elaborarono i Digesti con il metodo scientifico più moderno del tempo: il metodo delle questioni dei teologi scolastici. Questa forma di esegesi di un testo «sacro» o autorevole, da un punto di vista dell’etnologia del diritto, sembra essere un’eccezione rispetto al mondo intero: «normale» sarebbe
l’ulteriore sviluppo del diritto sulla base dei singoli casi, come anche era stato il metodo dei giuristi (R. C. van Caenegem). Accursio, intorno al 1230, riassunse il lavoro dei glossatori nelle 96940 spiegazioni della glossa ordinaria scritte a margine intorno al testo. Su questa fonte giuridica i postglossatori (commentatori e consiglieri) scrissero i loro consigli (consilia) e trattati su singole questioni, non di rado di argomento politico al servizio delle
repubbliche cittadine italiane e dell’impero. Nel 1140 i Concordantia discordantium Canonum di Graziano (o Decretum Gratiani) che ordinarono e commentarono
il materiale più antico, ottennero presto validità canonica e vennero glossati dai decretisti della scienza del diritto ecclesiastico di nuova formazione. A ciò si aggiunse un crescente numero di decisioni papali (decretali), pubblicate infine da Gregorio IX nel 1234 come raccolta sistematica: il Liber decretalium extra decretum vagantium, abbreviato Liber extra, completato nel 1298 e nel 1317 con supplementi ufficiali (Liber sextus e Clementinae).
A partire dall’edizione stampata romana del 1580-82 decretum e decretali si chiamarono ufficialmente Corpus juris canonici.
Mentre il diritto romano, nonostante la sua fama, rimase piuttosto una questione accademica e valse in senso stretto e subordinato per i casi di necessità, il diritto canonico poté aspirare dappertutto ad avere un’uguale e immediata validità per il clero
e per i laici. Intriso com’era di diritto romano, esso permise il diffondersi di elementi della struttura del diritto romano (Gouron). Il diritto canonico divenne il battistrada dell’ulteriore sviluppo del diritto processuale. Dal XII secolo vi erano giudici togati vescovili (officiale) che decidevano in modo più veloce, più economico e più orientato all’equità materiale che alla correttezza formale. Il variegato ambito di competenze dei tribunali ecclesiastici fece sì che essi venissero presi in considerazione dal pubblico più volentieri di quelli secolari; le lamentele sugli abusi dei tribunali ecclesiastici potevano in parte provenire dalla gelosia dei giuristi laici. Al posto dell’arcaico processo formale i tribunali ecclesiastici svilupparono, in base al modello della giustizia amministrata nella tarda antichità romana, un processo civile canonico, che nel XIII secolo era già stato accolto da tribunali laici come il parlamento
di Parigi e, come processo romano-canonico, era diventato bene comune della cultura giuridica europea. Si trattava di un procedimento scritto che poteva essere condotto con crescente perfezionamento soltanto da giuristi di professione – fece la sua
comparsa l’avvocato. Contemporaneamente nel diritto penale l’antico processo
di accusa («Dove non c’è alcun accusatore, non c’è alcun giudice ») venne sostituito dal moderno processo inquisitoriale (per inquisitionem iudicis ex officio suo) con il dovere di perseguire i fatti penali d’ufficio (massima del giudice) e di ricercare la verità tramite ispezione, interrogatorio dei testimoni e confessione degli accusati (massima istruttoria). A prescindere dall’udienza finale anche questo procedimento venne fissato in larga misura per iscritto. Il processo inquisitoriale ha una pessima fama, non solo perché il processo degli eretici rappresenta la sua variante più nota, ma anche perché per l’importanza assunta dalle confessioni ha condotto all’introduzione della tortura, a volte anche per i
testimoni. Questa pertanto era un «progresso» giuridico rispetto al giudizio divino e al giuramento di purificazione, soprattutto quando era applicata in modo veramente controllato, ben dosato e protocollato. Tramite Federico II in Sicilia e Luigi IX in Francia,
e in modo crescente anche nei tribunali tedeschi, nel XIII secolo vennero sostituiti gli elementi dell’antico procedimento tramite quelli del processo d’inquisizione. La sua introduzione significò un passo importante per il controllo della giustizia da parte del
principe, perché esso, come il processo civile, rese la giustizia una professione e una carica pubblica e conobbe il passaggio per le istanze (i tribunali antichi erano formati da profani e giudicavano sempre in unica istanza).
L’influenza del diritto romano-canonico fu in un primo momento più di natura formale e indiretta e ad essa si può ricondurre anche il bisogno sorto in tutta Europa dal XII secolo di
fissare il diritto per iscritto o di redigerne uno nuovo, applicando i nuovi metodi scientifici al diritto tradizionale; la forma scritta fu evidentemente il primo gradino di questa nuova razionalità. Poteva trattarsi di lavori individuali come il Decretum Gratiani o
di libri ufficiali di leggi come il Liber extra, ma la serie dei nuovi testi giuridici era tuttavia già il risultato delle ambizioni del potere statale in via di formazione. Così fu per il Liber Augustalis di Federico II per la Sicilia nel 1231 o per le raccolte delle leggi cittadine dell’Italia settentrionale come il Liber statuto rum et legum Venetorum del 1242.
Anche da un punto di vista materiale la nuova scienza giuridica realizzò importanti operazioni di adattamento. L’assunzione dell’illimitato concetto romano di proprietà, il dominium, che significava allo stesso tempo signoria, si adattava bene a un’epoca
di poteri giuridici autonomi, in cui i monarchi avevano autorità limitate. In questo modo vennero poste in Europa le fondamenta per la sicurezza giuridica della proprietà privata, caso unico della storia mondiale e molto promettente, come vedremo nei secoli
successivi, dal punto di vista economico.
Come ha ben scritto Paolo Viola, l’Europa ha molto amato la sua storia, l’ha studiata, la ricorda, ne conserva quadri concettuali e periodizzazioni, divisioni in epoche, strutture, interpretazioni. Ha ricostruito e raccolto minuziosamente i fatti e monumenti.
Speriamo che questo sapere non si perda, perché se non si ricorderà più quello che è stato, i quadri concettuali si svuoteranno, e ricostruire la propria identità sarà difficile. Però, se oggi si osserva e si promuove ovunque uno jus commune europaeum publicum,
una “europeizzazione” dei vari ambiti del diritto (dal diritto amministrativo al diritto sociale e del lavoro, sino all’auspicata formazione di giuristi europei), tutto ciò sottolinea vigorosamente che l’Europa si è fatta, si fa, e si può fare, anche attraverso il diritto,
vero fil rouge di una rinnovata identità comunitaria europea.
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