«È la presa della Bastiglia. Non una rivolta, come pensa re Luigi XVI appena sveglio, ma una rivoluzione. Ecco, quel che sta avvenendo un po’ dappertutto segna chiaramente una discontinuità storica: la fine dell’ultima ideologia del Novecento. La fine del mercatismo e contestualmente del socialismo, l’equivalente della caduta del Muro di Berlino. Sarà pure un cambio traumatico ma non è affatto detto che sia negativo. Anzi. Sono populista? Ebbene sì, perché no?» Il senatore Giulio Tremonti dietro la scrivania del suo studio nel centro di Roma ha l’aria compiaciuta dello “studioso” che nei suoi libri (soprattutto La paura e la speranza) aveva visto lungo.
Professor Tremonti, dalla Brexit alle elezioni Usa ai movimenti nazionalisti in Europa, non pensa che la deriva dei populismi rischi di travolgere le istituzioni, Italia compresa, come scriveva giorni fa su questo giornale Ezio Mauro?
«Io sarei estremamente prudente nella valutazione degli eventi. E anche delle politiche che stanno emergendo. Certo, assistiamo all’eclissi dei socialisti, c’è l’emersione di forze diverse e il crollo delle vecchie classi dirigenti. Si fa un gran parlare di populismo. Ma non puoi fulminare questi fenomeni come la secessione della plebe. È più semplicemente l’affermazione delle ragioni degli altri, con le quali devi fare i conti».
Quindi secondo lei le istituzioni, italiane e europee, non sono in pericolo, torno a chiederle?
«Cosa sono le istituzioni europee? Una chiesa frequentata da sonnambuli e da sacerdoti che hanno perso la fede. In questa Europa non credono più nemmeno loro. L’Unione non sta più in piedi».
Pensa che vada smantellata?
«Penso che un’idea potrebbe essere una Confederazione di Stati, che si uniscano sull’essenziale, ad esempio sulla difesa, e lascino il resto alla sovranità nazionale».
Lei è un liberale, eppure il pensiero liberaldemocratico alla base delle nostre istituzioni sta per diventare minoranza. Non la preoccupa?
«Se per forze liberaldemocratiche si intendono quelle che hanno generato il governo Monti, ho qualche difficoltà a definirmi tale».
Che c’entra Monti?
«È stata l’espressione massima del pensiero mercatista applicato alla politica. E in cosa si è risolto se non in un colpo di stato post moderno? L’exploit di Grillo e del M5S è figlio di quella stagione politica, è allora che sono passati dal 3-4 al 25 per cento, nascono come opposizione a quel mondo».
Perché è schierato per il No?
«Dico No a una riforma sbagliata e a Renzi, passato dall’infanzia alla decadenza politica transitando per la sfortuna obamiana. Ma chi avrà il governo dopo di lui sarà votato alla sconfitta, dovendo fronteggiare un’emergenza finanziaria drammatica. E siccome saremo a ridosso delle elezioni, indovini chi le vince? Tutti quelli che non stanno al governo».
A proposito, la destra di Salvini come la vede?
«Come si dice in America, per fare un dollaro servono cento centesimi. La mia impressione è che serva un leader, ma non può essere l’uomo solo al comando, serve una base collettiva, il sostegno di tutti».
Non è più tempo per un nuovo Berlusconi?
«Berlusconi aveva un apparato, ma soprattutto era uomo straordinario».
Non ne vede altri all’orizzonte?
«Il suo successo temo non sia ripetibile. La leadership ci può essere, ma dovrà passare attraverso una fase, come dire, cooperativa».
Ma alla fine, lei si sente un populista o no?
«Ebbene sì, sono 20 anni che penso e scrivo cose “populiste”, intese come le ragioni dei popoli. Del resto, se la domanda fosse se sono un neocentrista la risposta sarebbe no, senza dubbio».
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Intervista di Carmelo Lopapa
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