La mossa di Trump sul clima

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La decisione del presidente americano Donald Trump di mantenere la promessa elettorale e ritirare gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi ha provocato il prevedibile scompiglio dentro e fuori dal Paese. La preoccupazione verte su due fronti: la presunta rinuncia americana alla leadership su temi internazionali, e il messaggio che sembra andare a favore dei scettici sulla tesi dei cambiamenti climatici.

Sul primo fronte, quello del modello multilaterale, non c’è da rimanere sorpresi. Trump è stato sempre chiaro nell’esprimere i suoi dubbi verso le istituzioni sovranazionali, e quindi il ritiro da questo accordo è ovviamente coerente con la visione di chi vuole evitare vincoli esterni sulla politica americana. E’ un orientamento certamente non limitato al cosiddetto populismo di Trump; molti politici repubblicani si esprimono regolarmente contro gli organismi multinazionali, a partire dalle Nazioni Unite.

Anche l’angoscia sull’isolazionismo americano, cioè che il paese starebbe cedendo la sua autorità morale ai cinesi, o all’Europa - che da queste parti qualcuno vede come un’opportunità - è esagerata, o forse semplicemente un desiderio visto l’attuale occupante della Casa Bianca. E’ poco probabile che l’America di Trump non influirà più sulle scelte internazionali solo perché si è ritirata da un accordo multilaterale. Piuttosto si indica una tendenza che caratterizza la politica energetica Usa, già ampiamente impostata dal secondo mandato di Barack Obama.

 

La mossa di Trump sul tema dell’ambiente mostra che i tentativi di costringere la popolazione e le istituzioni ad accettare come verità assoluta i proclami dell’IPCC sui cambiamenti climatici antropogenici non hanno avuto l’efficacia sperata. Sono anni che si afferma che il 97% degli scienziati concordano sul ruolo umano nel provocare il riscaldamento globale, ma ripetere la stessa affermazione in continuazione non la rende più vera. La realtà è che si tratta di un numero arbitrario proveniente da un ricercatore australiano, che ha interpretato in modo strumentale gli articoli scientifici nelle riviste internazionali, con un metodo contestato da più parti.

Nel mondo scientifico esistono invece molti scienziati che contestano la linea dominante nei media, e che si smarcano dalle conclusioni dell’IPCC; tra questi ci sono anche scienziati che hanno partecipato direttamente ai lavori sulla questione. Il punto fondamentale è che non si sa ancora abbastanza sui meccanismi del clima. La temperatura mondiale è aumentata, ma è evidente che i cicli climatici naturali contribuiscono a questo effetto. Le questioni aperte sono: 1. quanto influisce l’attività dell’uomo in questo processo; e 2. se le misure proposte negli accordi internazionali siano utili e avrebbero gli effetti promessi.

C’è poi una dimensione politica, espressa recentemente dal vicepresidente Mike Pence: che le battaglie ambientaliste siano in realtà parte dell’agenda mondialista di sinistra, che mira a limitare lo sviluppo economico. Su questo punto il consueto catastrofismo, additando ogni tempesta e ondata di caldo al ruolo delle attività umane, contribuisce solo ad aumentare questa impressione.

 

L’Amministrazione Trump dichiara di voler rinegoziare alcuni aspetti degli accordi di Parigi, eventualmente per rientrarci. Conoscendone le posizioni, ovviamente si richiederebbe un cambiamento netto di impostazione per riprendere la partecipazione americana. Nel frattempo, a prescindere dal dibattito sulla bontà dei modelli climatici sviluppati dagli organismi internazionali, ci sono delle problematiche ambientali serie, che peggioreranno se si adotterà una politica di riduzione delle protezioni a tutti i livelli. L’inquinamento dell’’aria, del suolo e delle acque richiede misure di contrasto serie, oltre a miglioramenti tecnologici che mirano a preservare i beni ambientali fondamentali che soffrono in mezzo ad una battaglia intrisa di interessi specifici e di ideologia.

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