di Paolo Balmas
Dopo pochi giorni dall’ingresso delle truppe cinesi nella prima base militare operativa all’estero lungo la Via marittima della Seta, a Gibuti, la Cina si è mostrata particolarmente attenta alle dinamiche geopolitiche regionali. Prima di tutto, Pechino ha dichiarato di essere pronta a inviare i propri soldati lungo i confini fra Gibuti ed Eritrea, in una missione di peacekeeping dove le due nazioni si contendono la terra. La proposta, presentata presso l’Unione Africana, è stata giustificata dal fatto che le truppe cinesi rimpiazzerebbero quelle del Qatar, ritirate lo scorso giugno in seguito alla crisi che ha colpito il paese arabo (il Qatar aveva disposto 450 uomini sulle alture del Dumeriah, dopo che fu siglato un cessate il fuoco nel 2010).
Nelle stesse ore, il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, incontrava a Pechino la sua controparte qatarina, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, al quale ha espresso il pieno sostegno della Cina al fine di risolvere la questione delle accuse rivolte al Qatar da altri paesi del Golfo e dall’Egitto. Wang Yi ha sottolineato il bisogno di mantenere vivo il ruolo del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) e di superare le divergenze che si creano fra i membri nell’ambito dell’istituzione stessa, senza interferire nelle attività interne dell’uno o dell’altro paese. Il giorno precedente, il ministro Wang aveva incontrato anche il segretario di Stato degli Emirati Arabi Uniti (EAU), Ahmed Al Jaber, al quale aveva espresso il desiderio di assistere a un intervento della comunità internazionale per creare le condizioni necessarie a una risoluzione regionale della questione. La Cina appoggia il ruolo del Kuwait come mediatore.
Nei giorni stessi, l’inviato speciale per la Siria, Xie Xiaoyan, si è recato in visita a Teheran e ha colto l’occasione per chiedere a tutte le parti impegnate nel conflitto siriano di ricercare una soluzione pacifica e di cominciare a seguire le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. L’Inviato cinese ha ricordato che Pechino è favorevole al mantenimento della sovranità territoriale siriana e contraria a ogni opzione di sezionamento del territorio. La Cina ha già donato più di 100 milioni di dollari in aiuti umanitari alla Siria.
La Cina è interessata a riportare e mantenere nell’intera regione la pace, senza la quale il completamento del grande progetto dell’OBOR non potrà che conoscere altro che un lungo ritardo, oltre alle permanenti minacce del terrorismo e dell’instabilità politica. Gli investimenti cinesi, e non solo, nelle infrastrutture permetteranno lo sviluppo di un mercato regionale che si estenderà dal Corno d’Africa, al Medio Oriente, all’Asia meridionale e centrale (uno sviluppo al quale anche l’India contribuirà notevolmente). Il nuovo mercato imporrà una parziale rielaborazione delle relazioni dei paesi dell’area con gli storici e maggiori interlocutori commerciali (per lo più occidentali). La presenza militare cinese a Gibuti, nel medio-lungo periodo, ha il ruolo di agevolare tale cambiamento.
La scorsa settimana la Cina ha offerto un’ulteriore novità nel panorama militare internazionale. Infatti, ha dato il via alle sue prime esercitazioni navali congiunte nel Mar Baltico insieme alla Russia. Pechino ha portato a largo di Kaliningrad una nuova cacciatorpediniere (Type 052D), una fregata e una nave rifornimenti. I due paesi hanno iniziato a eseguire regolarmente esercitazioni dal 2012, ma è la prima volta che le svolgono nel Baltico. La NATO, che osserva da vicino le attività delle due marine militari, ha accusato ripetutamente negli ultimi anni la Russia di azioni provocatorie nell’area.
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